La storia della città di Foggia nel periodo storico del Neolitico

by spaziofoggiaadmin | 1 Dicembre 2015 10:30

L’insediamento Neolitico sito a Passo del Corvo facente parte di un Parco Archeologico che da questo prende il nome è di grande estensione territoriale, è un luogo stupendo e suggestivo per turisti e residenti che magari non l’hanno ancora potuto visitare.

Quaranta ettari di estensione per questo villaggio risalente all’era Neolitica, poco distante da Foggia proseguendo sull’autostrada SS 89 verso Manfredonia esattamente in Località Arpinova troviamo questo pezzo di storia che testimonia il vivere di allevamento e raccolta di un area che era fondamentalmente paludosa e certamente non molto ospitale.
La storia risulta sempre piena di sorprese e di luoghi che fanno tornare indietro per comprendere l’evoluzione umana all’interno della natura e il villaggio neolitico di Passo del Corvo non fa eccezione in tal senso.
L’area era inospitale in quanto eccessivamente umida, paludosa, piena di zanzare e molto calda. Parliamo dell’Età classificata come della pietra e pensare che un area tanto inospitale si estendesse per circa 40 ettari – che ricordiamo essere il più grande d’Europa – risulta complesso per la concezione che abbiamo nella modernità delle aree abitabili e nelle quali si sviluppa l’esistenza umana. Questo villaggio risale al IV Secolo A.C e fa parte del Parco Archeologico omonimo.

Come raggiungere l’insediamento

La scoperta dell’insediamento

La scoperta di questo villaggio è stata fortuita e avvenuta per caso grazie ad una spedizione aerea portata avanti dalla Royal Air Force nel 1943. Successivamente a questa scoperta sensazionale che fa di Passo del Corvo uno degli insediamenti più importanti del Tavoliere delle Puglie, gli scavi per far emergere un reperto storico di immenso valore culturale e umano, o meglio dovremmo dire atto alla conoscenza dello sviluppo umano in un epoca che ha generato due correnti di pensiero (archeologia patriarcale e archeologia matri lineare). Gli scavi sono stati condotti dall’Università di Genova diretti dal professor Santo Tiné. Questi scavi hanno fatto emergere un insediamento attivo tra il V e il IV millennio A.C – secondo quello che emerge dalle analisi condotte dal team degli archeologi impiegati in tale scavo – con diverse unità abitative e oggetti di culto vari oltre che oggetti utili nelle attività quotidiane delle persone che vivevano al suo interno. Gli oggetti di culto e della vita quotidiana sono assai differenti e vi è in particolare una pietra che reca alcuni simboli e che ritrae un volto di donna che guarda verso l’alto, è stata definita come Facies Masseria la Quercia secondo una visione matri lineare questo reperto potrebbe simboleggiare una divinità femminile come insegna l’archeolinguista Marija Gimbutas che tanto ha portato all’archeologia e alla linguistica, mentre nella visuale patriarcale il sucitato reperto potrebbe solamente essere un volto di donna che incarna le tradizioni agricole di stampo patriarcale come l’addomesticamento del bestiame e la coltivazione che si sostituiva al concetto matri lineare di raccolta. Ma del sito archeologico in particolare sono state riportate alla luce una serie di fossati che riproducevano la lettera C impiegati per il drenaggio del terreno. Questo scavo effettuato per il drenaggio si trovava attorno alle singole abitazioni e insieme sono stati trovati dei pozzi utili si suppone per la raccolta dell’acqua, taluni recinti e ben 16 sepolture. In seguito agli scavi sono state condotte delle ricostruzioni basate proprio sui dati acquisiti durante gli scavi e la più interessante è quella di una capanna a grandezza naturale dove si svolgevano le attività quotidiane della comunità neolitica. Un polo attrattivo decisamente interessante per andare molto indietro nella storia umana civile della Puglia ma più in generale del periodo storico scoperto fortuitamente in questa terra meravigliosa che è la Puglia.

La struttura geologica, l’insediamento e gli studi di Bradford

L’ufficiale Inglese Bradford nel 1946 studiò delle immagini – fotografie – aeree scattate durante l’ultima guerra del tavoliere delle Puglie e individuò oltre 200 insediamenti del periodo neolitico situati lungo gli affluenti del Triolo, la Salsola, il Celone, il Candelaro, il Cervaro, il Carapelle e 1′ Ofanto. In seguito a questa individuazione assai consistente – e da considerarsi in qualche modo pilota – di villaggi neolitici negli ultimi 10 anni se ne sono aggiunte altri 100 scoperti da archeologi che hanno condotto ricerche successive. Molti sostengono che la struttura fosse trincerata mentre in realtà – anche dalla ricostruzione che ne è stata fatta, ispirata dagli elementi archeologici e da studi scientifici operati sull’area – si tratta di un area con una forma a C che serviva ad incanalare l’acqua per il drenaggio e per prosciugare le zone da abitare, quindi più che termini militari dovremmo adottarne di civili e legati all’armonizzarsi con il contesto ambientale che i popoli neolitici vivevano in quell’area. Probabilmente quello che potrebbe stupire rispetto a questo sito è il fatto che gli abitanti conoscessero la geologia e la pianificazione, ciò è dimostrato dal fatto che hanno impostato proprio un canale di drenaggio tutto intorno alle abitazioni, le C di raccolta delle acque erano inoltre ben misurate quindi gli archeologi hanno supposto che coloro che hanno effettuato gli scavi per costruirle conoscessero elementi di ingegneria e morfologia territoriale. In realtà questa cosa non dovrebbe stupire ma purtroppo si ha la tendenza quando si parla di proto storia a confondere gli esseri umani di allora con il concetto di primitivo e questa tendenza ne snatura invece la vera attitudine, che sia essa ingegneristica, di progettazione e/o di capacità generale. L’acqua non era solo quella piovana raccolta ma proveniva direttamente dal sottosuolo e da tale elemento si comprendono le attitudini ingegneristiche delle popolazioni neolitiche che abitavano la zona. Un altro elemento interessante rispetto a questa buche nel terreno è il fatto che vennero progettate e realizzate per non far emergere l’acqua in superficie quindi il progetto era davvero degno di questo nome.

Curiosità rispetto al sito

Il parco che prende il nome proprio dall’area di Passo del Corvo è uno dei pochissimi in Italia dedicato al periodo neolitico e questo lo rende ancor più attrattivo rispetto ad altri parchi siti sul territorio nazionale.

 

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