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Grano, Cia Puglia: “Stop importazioni, pronti a sciopero della semina”

Ieri sit-int davanti al Consiglio Regionale che ha discusso il documento dell’organizzazione

Sulla questione grano, l’Ordine del Giorno proposto da Cia–Agricoltori Italiani di Puglia è stato approvato all’unanimità e posto al primo punto del Consiglio Regionale che si è tenuto ieri mattina, giovedì 28 luglio 2016. Il documento elaborato dall’organizzazione agricola, e discusso dall’Assemblea regionale, propone un progetto strutturale di valorizzazione del frumento italiano di qualità, a tutela soprattutto dei consumatori. “La Cia–Agricoltori Italiani di Puglia, ieri mattina, ha organizzato il sit-in davanti al Consiglio regionale perché convinta più che mai che non servono barricate di trattori, ma proteste contro le barricate di coscienza, e serve che il consumatore conosca il lavoro degli agricoltori pugliesi nella produzione di grano di qualità”.

Se le quotazioni non tornano a salire, riconoscendo al frumento Made in Italy il giusto valore, faremo lo sciopero della semina – annuncia Carrabba -. Chiediamo al Governo lo stop immediato delle importazioni di grano per 15/20 giorni, così da ridare fiato agli agricoltori in crisi”.

Nel documento discusso dalla Giunta e dal Consiglio regionale, la Cia chiede alla Regione di attivarsi con il Governo Nazionale e il Parlamento per: 1) verificare la possibilità di sospendere temporaneamente le autorizzazioni alle importazioni; 2) impegnarsi in Europa affinché la Pac oggi in periodo di revisione possa incentivare strumenti come i fondi mutualistici per la stabilizzazione del reddito; 3) velocizzare l’attuazione delle misure annunciate nel piano cerealicolo nazionale; 4) incentivare accordi e contratti di filiera capaci di garantire una più equa ridistribuzione del valore; 5) prevedere una campagna di promozione e valorizzazione della pasta italiana nel mondo; 6) perseguire la massima trasparenza delle borse merci con un ruolo maggiore dei rappresentanti degli agricoltori; 7) rendere obbligatoria e non facoltativa la comunicazione delle scorte da parte degli operatori commerciali e industriali; 8) autorizzare eventuali nuovi centri di stoccaggio per l’ammasso delle sole produzioni locali, volte a favore una maggiore aggregazione dell’offerta; 9) verificare che i centri di stoccaggio autorizzati siano destinati principalmente per le produzioni locali. “Non possiamo che esprimere soddisfazione – ha dichiarato Raffaele Carrabba, presidente regionale Cia Puglia – per l’approvazione alla unanimità della nostra proposta di ordine del giorno. Non è più possibile che il frutto del lavoro di un anno venga così svalutato e svenduto!”.  Nell’ultimo anno nei porti pugliesi sono arrivate oltre 2 milioni di tonnellate di grano estero. I produttori di grano continuano a essere oggetto di un’azione di speculazione che non ha precedenti, con il grano duro pagato 18 euro al quintale, largamente al di sotto dei costi produttivi, e con perdite fino al 50% sulla scorsa campagna di commercializzazione. “Venticinque anni fa – spiega Raffaele Carrabba, presidente regionale della Cia – Agricoltori Italiani di Puglia – un quintale di frumento valeva circa 30.000 lire, gli attuali 15 euro, più o meno come le quotazioni di oggi. La cosa più assurda è che se il prezzo del grano è rimasto invariato nel corso di un quarto di secolo, il costo del gasolio, dei fertilizzanti, dei mezzi tecnici, invece, è aumentato in maniera esponenziale, mettendo le aziende agricole in ginocchio. L’agricoltore – spiega ancora Carrabba -, rispetto a 25 anni fa, riesce appena a pareggiare i costi di produzione, senza tenere conto di imposte, ammortamento dei mezzi ed altri costi”. Tutto ciò determina che oggi 100 chili di frumento valgono quanto 5 chili di pane: un “gap” intollerabile e contro la logica delle cose che non può nemmeno lasciare indifferenti i consumatori, di fronte a una tale distorsione dei mercati. Il rischio concreto è che in queste condizioni gli agricoltori pugliesi non seminino nella campagna 2016/2017. Senza un’inversione di marcia sui prezzi pagati agli agricoltori e senza un freno immediato alle importazioni “spregiudicate” dall’estero (+10% solo nei primi 4 mesi del 2016), il rischio che si corre è quello di una progressiva marginalizzazione della produzione di grano in un Paese che, paradossalmente, esporta il 50% della pasta che produce.

Oggi il raccolto di 6 ettari seminati a grano basta appena per pagare i contributi di una famiglia media agricola. Le aziende sono oggetto di una speculazione senza precedenti, con sistema industriale e commerciale che impongono ai produttori condizioni inaccettabili. Ma se gli agricoltori ci perdono, a guadagnarci da questa situazione sono solo le grandi multinazionali che importano grano dall’estero per produrre all’insegna di un’italianità che non è reale, senza preoccuparsi di cosa conterrà la farina e di cosa mangeranno le famiglie.

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